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La Decima riscattata

«Esiste ancor oggi un favoloso tesoro, due marmitte piene colme di monete d'oro, nascosto al Ponte del Lisàn, in quel di Ràgoli. Ma guai al disgraziato che volesse appropriarsene: dovrebbe fare i conti col Diavolo, che l'oro difende come fosse suo!».

Così stava scritto in un antico libro, conservato nella Biblioteca pontificia a Roma e proprio questo libro lesse, un giorno, un tale di Ràgoli, che per lavoro viveva nella Città eterna. Non occorre aggiungere che quell'uomo venne preso all'improvviso dalla febbre del tesoro: lasciò il suo impiego, rientrò più veloce che poté al paesello e una sera, piccone e badile in mano, si recò al Ponte del Lisàn, che lui conosceva bene fin da quando aveva cominciato a camminare sulle sue gambe.

Dopo essersi guardato in giro, notò alcuni misteriosi segni nella roccia della montagna, che in quel punto precipitava a picco sul torrentello sottostante. Si sputò sul palmo delle mani, afferrò il piccone e sferrò un primo forte colpo sulla rupe. La roccia si sbriciolò all'istante e la punta del piccone aprì una piccola fessura, dalla quale fuoriuscì con un forte sibilo un pungente odore di zolfo. Poi, con un boato tremendo che fece barcollare il pover'uomo, uno spirito immondo scivolò fuori, ingigantendosi oltre le cime degli alberi lì attorno. Era un mostro incredibile, enorme e peloso, con due zampacce unghiate che stavano una da una parte, la seconda dall'altra parte del ponte. La faccia, poi, pareva un terrificante mascherone: occhi rossi come il fuoco, naso adunco e butterato, la bocca armata di zanne digrignanti...

Il disgraziato lasciò cadere il piccone e fuggì di filato in paese, per raccontare agli amici la tremenda scoperta. Ma l'oro, si sa, ha il potere di far vincere anche la paura più profonda: il giorno dopo l'uomo tornò al ponte accompagnato da un gruppetto di compari, tutti con picconi e badili in spalla. Si avvicinarono con attenzione al foro nella roccia, sbirciarono all'interno e... - Su, forza - si dissero, - oggi siamo in molti e nulla ci fermerà! Già: non conoscevano, i poveretti, la potenza del Male e quando presero a sferrar colpi sulla roccia, il mostro del giorno prima si materializzò urlando davanti a loro, accompagnato anche lui da una folta schiera di altrettanto terribili amici!

I malcapitati si spaventarono a morte e tornarono di corsa a casa, ripromettendosi di non parlarne a nessuno e soprattutto di non recarsi mai più dalle parti del Ponte del Lisàn. Ma i segreti, in paese, circolano più veloci del profumo della polenta: ben presto tutti vennero a sapere del tesoro di monete d'oro custodito dal Diavolo al Lisàn e i più vecchi escogitarono anche il modo per impossessarsene.

- Se quello è veramente il Diavolo - questo si diceva nell'osteria, - basta trovare un prete esorcista o un buon frate predicatore, e vedrete che lo spirito del male svanirà nell'aria, scacciato dalle litanie e dalle benedizioni! È vero, sarebbe bastato un prete coraggioso o un frate audace, ma per quanto lo cercassero e s'informassero, quelli di Ràgoli non ne trovarono uno solo disposto ad aiutarli. Fu così che la febbre dell'oro, in breve, si trasformò in disperazione... e i disperati, talvolta, sono anche i più fortunati. La gente di Ràgoli, infatti, di lì a poco decise di recarsi tutta quanta in massa al Ponte del Lisàn, ognuno portando con sé picconi, badili, ma anche pentole, forconi e soprattutto crocifissi benedetti. Giunti sul luogo del tesoro, al più giovane venne dato l'incarico di tirare il primo colpo di piccone, mentre gli altri si disposero in cerchio alle sue spalle, pronti a fronteggiare gli spiriti maligni. E quando i mostri irruppero urlando e ghignando fuori dalla fessura, trovarono ad attenderli centinaia di persone che, all'unisono, presero a urlare ancor più forte, a percuotere i badili sulle pentole, a battere i forconi sui tronchi degli alberi. Tutto questo fracasso, però, a ben poco sarebbe valso, se le donne non avessero cominciato ad agitare in alto i crocifissi benedetti, intonando inni sacri e preghiere salmodianti: i dèmoni, a quella vista, dapprima indietreggiarono sbuffando e sbavando veleno, poi uno dopo l'altro si diedero alla fuga, gridando bestemmie contro Dio e contro gli uomini.

Ecco: il tesoro era finalmente libero! Scavarono come degli ossessi per due giorni e due notti, quelli di Ràgoli, e alla fine, giunti nelle viscere della montagna, vi trovarono due giganteschi pentoloni colmi fino all'orlo di monete d'oro. Riempirono una ventina di sacchi e fecero ritorno al paese, portandosi appresso il nuovo interrogativo: «E adesso che ne facciamo, di tutto quest'oro?». - Sentite - dissero i più saggi, - questa fortuna ci è piovuta dal cielo e noi dobbiamo utilizzarla al meglio. Che ne dite di proporre al Vescovo di Trento il pagamento anticipato delle decime da oggi in poi? Noi gli daremo tutto l'oro che ci chiederà, e lui esenterà Ràgoli dal pagamento delle tasse fino alla fine del mondo!

Era un'ottima idea, anzi, era l'unico modo per far fruttare quel tesoro improvviso. Fu così che una delegazione, caricati i sacchi pieni di monete su alcuni carri, scese a Trento e si fece ricevere dal Principe Vescovo. - Ma veramente pensate di poter pagare adesso tutte le decime che dovrete pagare nei secoli futuri? - disse l'alto prelato, dopo aver ascoltato la proposta. - Contenti voi, io sono d'accordo. Tu, guardia, segna qui sul pavimento un cerchio del diametro di quattro passi e voi riempitelo tutto di monete d'oro Se ci riuscirete, sarete esentati dal pagare le decime finché vivrà l'ultimo dei vostri pronipoti!

Vennero avanti due uomini robusti armati di badile, mentre alle loro spalle gli altri aprirono i sacchi di monete. Quando una bella montagna d'oro occupò tutto lo spazio del cerchio ai piedi del Vescovo... - Sufficit - esclamò il prelato. - Ce n'è abbastanza! Per tutta risposta, i due di Ràgoli continuarono a immergere i badili nei sacchi e depositarono altre monete sul mucchio. - Sufficit... sufficit - urlò quasi arrabbiato il prelato, congedando poi la delegazione. Da allora la gente di Ràgoli non pagò più alcuna decima a Trento e quindi poté prosperare senza problemi o, almeno, con meno problemi dei paesi vicini.

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