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Il tesoro del Lisano

Anni or sono, nei nostri paesi, si pagavano le decime delle biade prodotte nei campi o ai dinasti o direttamente al Principato vescovile di Trento. Questo non facevano gli abitanti del paese di Ragoli, perché se n’erano liberati mediante lo sborso, fatto in antico, d’una buona somma di danaro sonante al Principe Vescovo di Trento, come parla una lapide di marmo nero di Cerana (località presso il detto paese) collocata nella muraglia interna di mezzodì della vecchia chiesa di San Faustino, in caratteri che si dicono gotici. “Ma dove presero tanto denaro?” dirà più d’uno.

Si narra (questo è il racconto) che se ne liberarono mediante un tesoro dissotterrato presso il ponte del Lisano, a sinistra della vecchia strada che conduce da Ragoli a Stenico. Dove imbocca la valle d’Algone. Dal ponte, gettato sul torrentello Lisano che percorre questa valletta, tuttora si vedono, scavate per metà nel masso, due buche rotonde come il fondo di un paiolo.

Un certo Ignazio dei Ragoi, notaio in quel di Roma, avendo dimestichezza nella lettura e nella ricerca di testi antichi, trovò in un archivio della città un libro polveroso e in disuso che riportava la mappa di un tesoro nascosto nelle vicinanze del ponte del Lisano.
Si fece preparare dal suo servo un cavallo tra i più veloci che aveva nella stalla e nottetempo partì alla volta di Ragoli. Durante il tragitto si fermò presso una locanda, si riposò, abbeverò il cavallo e, udito un martellare continuo lì vicino gli venne in mente che gli occorreva un piccone robusto: passò quindi dall’officina del fabbro, sul retro della locanda.

Giunto finalmente al torrente del Lisano diede la prima picconata e restando di sasso, vide apparire una figura diabolica, schizzante fiamme, che era posta a gambe divaricate, sulle due rive del fiumiciattolo.
Per qualche istante rimase come di ghiaccio. Tutto tremante corse in paese e raccontò l’accaduto ai Ragolesi. I più coraggiosi si recarono, la notte, sul posto e videro apparire lo stesso losco individuo che sghignazzava e sputava fuoco incendiando qua e là ciuffi di erba secca.

I paesani decisero che bisognava dare battaglia agli spiriti maligni del Lisano. Perciò pensarono subito a don Battista, il prete del paese. A quell’ora, saranno state le cinque del mattino, era senz’altro in chiesa davanti al suo breviario per le orazioni mattutine. Senza bussare, i contadini si precipitarono in sagrestia e scongiurarono il prete di recarsi sul luogo malefico e, con l’acqua santa, far fuggire il diavolo. Don Battista, terrorizzato, ci pensò su un bel po’: “Non posso – mentì – devo far visita a certi malati che versano in punto di morte… e nemmeno se mi pagate in oro sonante, verro là!”.

I popolani testardi e cocciuti si recarono in massa sul posto del tesoro e, armati di coltellacci, roncole, bastoni, forche, vanghe e rastrelli urlarono a tal punto che i monti circostanti mandavano l’eco delle loro imprecazioni. Improvvisamente dal terreno, reso incandescente dalle fiamme, apparve il solito demonio che a poco a poco si stava trasformando in un caprone cornuto e lanoso. A quelle minacce, il diavolo divenuto caprone, con agili balzi fra le rocce scappò verso la Sarca, giù fino al Pont de Pià dove scomparve nella Forra del Limarò.

I ragolesi allora, tirarono un sospiro di sollievo e con grande lena, afferrate le vanghe e i picconi, iniziarono a rimuovere sassi e terreno, terreno e sassi… Finalmente un tintinnio inaspettato contro le vanghe li fece sussultare. I paesani, incuranti del sudore e della fatica, proseguirono con maggior foga nella ricerca e…: “Meraviglia!” dissotterrarono due pentoloni strapieni di monete d’oro fino.

Che fare di tanto denaro? I saggi del paese si ricordarono di quanto fosse oneroso da pagare il prezzo delle decime. Esse mettevano in ginocchio il guadagno dei contadini…, i supervisori del feudatario erano sempre lì come avvoltoi, nemmeno un sacco di grano sfuggiva al loro controllo!
Ecco dunque l’idea di recarsi a Trento dal Principe Vescovo e offrirgli tutto il denaro possibile di quel tesoro per cancellare le decime!

Giunti al palazzo del Vescovo si fecero annunciare. L’illustre personaggio li attendeva impaziente nel grande salone del castello. All’oscuro del ritrovamento, si domandava come mai, contadini sempliciotti e analfabeti, chiedessero di lui. Un sorriso ironico sfiorò il viso del Principe Vescovo. Tirò la corda della campanella e un servitore accorse. “Traccia sul pavimento – ordinò il Vescovo – un cerchio grande come quattro passi di san Vigilio. E voi – continuò rivolto ai contadini di Ragoli – riempite questo cerchio di monete d’oro e sarete liberati per sempre dal pagamento delle decime!”.

Il cerchio scomparve a poco a poco sotto una montagna di scintillanti danari. Il Vescovo rimase di stucco per tanta abbondanza e fermò il baldanzoso “ragol” che voleva aggiungere altre palate per bravata ed esclamò: “Sufficit, Sufficit!”
Così tutti i “Ragoi” furono liberati per sempre dal pagamento delle decime.

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